MENU

3 Big raccontano il mondo dell’Interpretariato di Conferenza

3 Big raccontano il mondo dell’Interpretariato di Conferenza

Gli Interpreti di Conferenza che hanno gentilmente accettato di essere intervistati non sono in alcun modo affiliati con WorldBridge Srl e pertanto le risposte fornite rispecchiano esclusivamente i loro personali punti di vista.


Come farsi strada nell'interpretariato di conferenza?

Maurizio Boni, Grazia Mercedes Sanna e Alberto Scalcerle si raccontano e ci svelano come farsi strada in un mercato del lavoro estremamente competitivo e, per certi versi, spietato.

Maurizio Boni è interprete di conferenza, interprete RAI e SKY, speaker e doppiatore.

Grazia Mercedes Sanna è interprete di conferenza, docente di traduzione simultanea e consecutiva.

Alberto Scarcerle è interprete di conferenza, interprete RAI Formula 1, docente di traduzione simultanea e consecutiva.

Come immaginavi che fosse la vita di un interprete quando eri uno studente/una studentessa? Quali sono le differenze principali tra la l’ideale che avevi da studente/studentessa e la realtà riscontrata nel mondo del lavoro?

M. BONI: Pensavo fosse molto simile a quello che effettivamente è ma con due grandi differenze in negativo: constato mancanza cronica di organizzazione e soprattutto la modalità di chiamata last minute che non permette mai una preparazione sufficiente. Non immaginavo invece di potervi ritrovare a così stretto contatto con svariate tipologie di settori, organizzazioni, aziende e congressi – si apprende ogni giorno, è il lato più sfidante ma anche quello che più ricompensa in questo mestiere.

G. M. SANNA: L’immaginario mi vedeva unicamente a fianco di Capi di Stato occupati in risolutivi Summit in cui il mio contributo sarebbe stato indispensabile per assicurare una risoluzione delle controversie e sempre, immancabilmente, impegnata in questioni di vitale importanza. Ingenuamente e con una certa presunzione non prendevo in considerazione occasioni di lavoro con meno “glamour”.

La realtà mi ha portato a capire e accettare che un vero professionista cercherà di lavorare al meglio sia in occasione di una Conferenza al Vertice, sia quando si tratta di prestare la propria opera nel corso di riunioni tecniche o di settore, che possono risultare anche più impegnative dal punto di vista terminologico e gratificante da quello professionale, seppure, a prima vista, meno prestigiose.

A. SCALCERLE: Devo premettere che sono stato uno studente molti anni fa, nell’era pre-cellulari, pre-internet, addirittura pre-computer (pensate che nella Scuola Interpreti di Milano dell’epoca uno dei corsi obbligatori era dattilografia… su vecchie macchine da scrivere meccaniche… con la mitica Professoressa Edy Troccoli e il suo testo “La scrittura a macchina”…), e quindi in un mondo completamente diverso rispetto a quello di oggi e assai più provinciale. La mia visione della “vita degli interpreti” era pertanto basata sulle letture e sulla cronaca dell’epoca, quindi nel mio caso basata su romanzi d’avventura, libri di fantascienza, fumetti e sugli avvenimenti politici del periodo, in particolare la divisione del mondo in due blocchi contrapposti che iniziavano ad attrarsi e a stabilire contatti tra loro. Immaginavo quindi la vita dell’interprete come una vita romanzesca, affascinante ed esotica, piena di viaggi e di avventure, di intrighi internazionali, di complesse conferenze simili a partite a scacchi volte a risolvere i problemi del mondo.

Viaggiare ho viaggiato molto, e continuo a farlo, con piacere, forse la cosa più bella di questo lavoro. Di intrighi ne ho visti a iosa, di tutti i tipi. Conflitti e turbolenze internazionali non sono mai mancati, basta seguire la cronaca di oggi. Molte conferenze si sono effettivamente rivelate complicate, ma purtroppo nella maggioranza dei casi anche assai inutili e noiose. Direi che la differenza principale rispetto alle mie aspettative è stato il non avere considerato che Milano era e rimane una città industriale/commerciale/scientifica, e quindi questi erano i settori nei quali sarei finito a lavorare. Ero mentalmente preparato e avrei voluto lavorare in ambito politico, mi sono invece ritrovato, forse anche per fortuna, a fare tutt’altro.

Quali sono state le maggiori difficoltà che hai riscontrato all’inizio della tua carriera?

M. BONI: A differenza della situazione odierna, in cui le facoltà o scuole interpreti hanno finalmente iniziato ad intrecciare qualche rapporto con la business community locale e quindi ad offrire alcune opportunità di pratica, fino a pochi anni fa ci si laureava senza avere ricevuto un minimo di informazioni su cosa fare dopo. Iniziava una semplice ricerca tramite Pagine Gialle, inviando decine di CV ad agenzie di traduzione, senza idea di tariffe, codice deontologico e agguati dietro l’angolo. Ho avuto quindi difficoltà a trovare i primi lavori, a partecipare come interprete ai primi congressi e a iniziare la collaborazione con le prime agenzie che mi hanno dato fiducia.

G. M. SANNA: La difficoltà di trovare i primi lavori, che sono l’occasione per cimentarsi, nonché un primo anello di una catena di contatti che poi si mette in movimento. In questo senso, prendere contatto con un’Associazione di categoria è stato molto utile ed importante, perché mi ha dato la possibilità di iniziare a mettermi alla prova, come pure a farmi conoscere.
Un altro nodo molto difficile da sciogliere è stato imparare a districarmi nelle innumerevoli incombenze burocratiche che la libera professione comporta.

A. SCALCERLE: Allora come oggi il problema per chi iniziava era sempre lo stesso, il riuscire a farsi conoscere e a farsi apprezzare per il proprio valore. In quegli anni l’inserimento nel mondo del lavoro era più facile di oggi, in quanto la concorrenza era limitata, pochi conoscevano le lingue e l’economia era in espansione; in compenso esistevano altri problemi, soprattutto per ragioni di ignoranza; vi erano enormi resistenze a livello familiare, ad esempio molti non capivano perché un uomo potesse volere fare, come mi è spesso stato detto, “l’hostess congressuale”, senza entrare nel merito di cosa molti pensassero delle colleghe donne che intraprendevano tale carriera… Inoltre le libere professioni allora di fatto o non esistevano o comunque non erano molto ben viste; le “partite IVA” erano pochissime e il “posto fisso” era l’unica forma di lavoro considerata accettabile. Il lavoro quindi c’era, ma vi erano parecchi ostacoli culturali e di tipo organizzativo.

Qual è la principale causa di insuccesso che riscontri negli aspiranti interpreti con cui sei venuto in contatto?

M. BONI: La smania di arrivare subito, di raggiungere immediatamente l’obiettivo, di avere la settimana piena di impegni poco tempo dopo la laurea. Ci vuole invece moltissima pazienza. La formazione non finisce il giorno della laurea ma è proprio lì che inizia – questo scoraggia molti neolaureati che pensano di avere terminato il percorso di apprendimento. Temo manchi l’abitudine ad avere a che fare con difficoltà, a desiderare di gestire le sorprese negative e non solo positive, le incomprensioni all’ordine del giorno e la generale disorganizzazione del nostro Paese. L’università offre una solida base di partenza ma il resto del viaggio, assai lungo, lo si affronta una volta usciti dal percorso formativo. Manca anche l’abitudine e la volontà di lavorare in team: da solo, nessuno è mai arrivato dove un gruppo o una squadra può arrivare.

G. M. SANNA: Probabilmente il sottovalutare l’importanza di un aggiornamento e sviluppo professionale costante, insieme all’ineludibile necessità di nutrire la propria curiosità intellettuale e capacità di calarsi in pochi giorni/ore nei contesti più diversi. In altre parole: irrinunciabile amore per lo studio, persino degli argomenti più diversi, che si traduce in un’incessante ginnastica intellettuale.
Un altro punto debole è, a mio avviso, la poca propensione a “fare rete” con gli altri colleghi e un certo snobismo nei confronti dell’assoluta necessità di imparare a svolgere un’intelligente attività di ricerca clienti e marketing.

A. SCALCERLE: La maggiore causa di insuccesso è la discrepanza tra quanto si pensa di sapere e quanto viene effettivamente richiesto dal mercato. Molti pensano che una buona conoscenza linguistica e una buona capacità tecnica siano sufficienti, purtroppo così non è. Il mercato è diventato estremamente esigente e spietato e purtroppo la sola conoscenza linguistica non basta più.

Com’è cambiato il mondo dell’interpretariato negli ultimi 10 anni? Quali sono le caratteristiche che deve possedere oggi un buon interprete?

M. BONI: Credo che la crisi abbia giocato un ruolo negativo. La ricerca del prezzo a scapito di qualità e professionalità è dilagante. Il mercato è cambiato perché le grosse aziende fanno sempre più spesso a meno di traduttori ed interpreti, convinte di disporre di tali competenze internamente. Il mercato si sposta su realtà piccole ed emergenti e quindi totalmente ignare di modalità di lavoro, condizioni, ecc.

A mio avviso una grande modestia oltre a una passione viscerale che lo/la porta a volere sempre e costantemente imparare dai clienti che, per forza di cose e quotidianamente, ne sanno ben più di noi.

G. M. SANNA: Credo che uno dei cambiamenti più marcati abbia verificato nel nostro settore sia il sempre più schiacciante predominio della lingua inglese come lingua di lavoro. Ciò ha fatto sì che, mentre nel passato erano frequenti i convegni con diverse lingue di lavoro, oggi si stiano facendo sempre più rari. Naturalmente, essendo il nostro un mercato piuttosto fluido e molto influenzato anche dalle diverse congiunture politico-economiche internazionali, questo é un quadro che, a medio termine, potrebbe molto probabilmente cambiare.

Non sono molto diverse da quelle che contraddistinguevano il buon interprete del passato (tanta motivazione, basi linguistiche ineccepibili, le attitudini proprie per svolgere attività impegnative e a volte stressanti quali l’interpretazione simultanea e consecutiva, grinta, rigore deontologico, etc.).
Queste le caratteristiche squisitamente tecniche e di “preparazione”, ma un buon professionista non può non riunire anche tratti di natura etica quali, per esempio, mantenere un comportamento improntato alla massima lealtà e rispetto per i propri colleghi (praticando quindi una concorrenza leale al momento di definire tariffe e condizioni), per i committenti, nonché per se stesso e per i propri studi.

In più, il mercato attuale é ancora più competitivo che nel passato, pertanto, un buon interprete deve possedere molte più combinazioni linguistiche. E, ultimo, ma non per questo meno importante, deve padroneggiare le nuove tecnologie che sono entrate prepotentemente nel nostro mondo.

A. SCALCERLE: Il livello tecnico degli interpreti è cresciuto molto e oggi esistono dei veri e propri specialisti nei vari settori, almeno per chi lavora nelle grandi città. In passato si faceva un po’ di tutto, oggi chi fa un po’ di tutto rischia di fare brutta figura con i clienti, che a loro volta sono diventati più esigenti.
Nel libero mercato per ragione di costi la tendenza è a favore dell’uso di un’unica lingua straniera, vale a dire l’inglese. Convegni che in passato richiedevano interpreti di più lingue vengono oramai fatti solamente con l’inglese e l’italiano, e spesso addirittura solo in inglese. Quanto detto non vale chiaramente per chi lavora per le istituzioni europee o magari su Roma in ambito politico.
Nel mondo dell’interpretariato vi è una crescente richiesta di lingue orientali, come ad esempio il cinese, o comunque di lingue più o meno esotiche. Eventi come l’Expo fanno chiaramente aumentare la richiesta per tutte le lingue, anche di quelle europee, ma si tratta purtroppo di eventi occasionali per cui non ci si può fare affidamento.
Altra differenza è che in passato si poteva vivere sul mercato libero anche facendo solamente l’interprete di conferenza; oggi ciò è assai più difficile. Per avere un reddito decente gli interpreti sono oggi costretti a fare anche altro (traduzioni scritte, interpretariati, insegnamento, ecc.).
Quali sono le caratteristiche che deve possedere oggi un buon interprete?
Una cosa che ho imparato negli anni è che si può avere successo indipendentemente dalle proprie caratteristiche; molteplici sono gli interpreti ma anche molteplici sono i committenti, e ognuno apprezza cose diverse. Certo, poi “…ogni carne va per il suo prezzo…”.

Quale consiglio vuoi dare ai giovani studenti di interpretariato? Qual è il segreto del successo?

M. BONI: Consiglio di certo di passare un periodo all’estero, è la migliore delle formazioni possibili, aiuta ad aprire la mente e a non farsi scoraggiare davanti a eventuali, spesso molto probabili, difficoltà future.

Un mix perfetto e difficile da ottenere di pazienza, modestia, determinazione e passione per le lingue praticate. Tutto questo deve portare a tenersi sempre informati, a leggere, viaggiare, migliorare costantemente la preparazione, non scendere a compromessi a livello tariffario perché una volta presentati sul mercato con questa caratteristica sarà poi impossibile spuntare condizioni migliori e, dopo pochi mesi o anni di insoddisfazioni economiche, si tenderà ad abbandonare la professione.

G. M. SANNA: Premesso che ognuno di noi é artefice del proprio destino in prima persona e, pertanto, il percorso professionale è qualcosa che ciascuno deve costruirsi da solo, tuttavia, per convinzione e per esperienza (sono socio attivo dell’AIIC, Associazione Internazionale Interpreti di Conferenza, l’associazione di categoria che, tra le altre cose, si occupa degli accordi con gli Organismi Internazionali), sono sostenitrice dell’importanza dell’associazionismo. Far parte di un’associazione di categoria è, a mio avviso, importante per gli interpreti di qualunque età, a maggior ragione per coloro che si affacciano nel nostro mondo. L’interprete di conferenza è, per propria natura, un libero battitore (se escludiamo i funzionari delle Istituzioni), non essendo inquadrato in nessun rapporto di lavoro che lo veda quale dipendente di una data struttura. Ciò comporta una buona dose di libertà, ma, allo stesso tempo, un pizzico di solitudine e, in diverse occasioni, un senso di disorientamento. Poter contare su un punto di riferimento quale un’associazione di categoria é, a mio avviso, indispensabile per un giovane interprete che deve capire come orientarsi nell’oceano” di condizioni di lavoro, tariffe, ricerca clienti, etc. Inoltre, dato che, pur non avendo noi interpreti dei “colleghi” di lavoro coi quali condividiamo la quotidianità, tuttavia, nel momento in cui lavoriamo in cabina siamo a strettissimo (seppur breve) contatto con il nostro compagno/a e, spesso, siamo parte di un’équipe. L’affiatamento tra i due interpreti responsabili di una cabina é uno degli elementi principali che determinano la buona o cattiva riuscita del loro lavoro. La prima cosa che direi a un giovane interprete, quindi, è di scegliersi bene i compagni di strada. In questo senso, l’appartenenza a un’associazione é garanzia di rispetto di elevati standard deontologici e professionali. A maggior ragione oggi che in Italia, finalmente, disponiamo di una legge ad hoc, la 4/2013, che garantisce all’utenza prestazioni di qualità. Molto semplicemente: si diventa bravi lavorando con colleghi bravi, stando in contatto con professionisti che operano nelle istituzioni internazionali e che si muovono ai livelli più qualificanti della professione.

A. SCALCERLE: Non ci si deve accontentare, bisogna puntare più in alto. Ripeto sempre ai miei studenti: con quale faccia vi potreste presentare a un potenziale cliente, con un titolo di mediazione linguistica nel curriculum, sapendo l’inglese magari peggio del vostro potenziale committente? In era Erasmus tantissimi studenti studiano all’estero, studenti di tutte le facoltà; noi NON possiamo sapere le lingue peggio di loro… Dobbiamo essere dei super professionisti, dobbiamo essere coloro che entrano in gioco quando gli altri non ci arrivano, fare quello che gli altri non sanno fare. Grazie alle nuove tecnologie, tipo Google translate o Skype translator, il 90% del lavoro lo sanno fare tutti. Noi dobbiamo essere quelli che fanno, bene, quel 10% che manca. Chi ci riesce può sperare di entrare nel settore e avere successo, gli altri o non ce la faranno o diventeranno delle semplici commodity pagate a poco prezzo.
Questo per la parte linguistica e tecnica.
Vi è poi la necessità di sviluppare i cosiddetti “soft skills”, che sono oramai indispensabili. Gli interpreti liberi professionisti sono diventati delle piccole aziende multinazionali; per sopravvivere bisogna quindi imparare e sapere gestire al meglio tutte le funzioni tipiche aziendali: PR, Marketing, R&D, Contabilità, Logistica, ecc.
Auguri e buon lavoro!

©WorldBridge Srl, riproduzione riservata.